A PRANZO CON LA PROPRIA COSCIENZA
A pranzo con la propria coscienza
Il titolo di questo breve scritto vuole essere provocatorio, polemico e vuole tentare di farci riflettere, tutti, compreso chi scrive!
Non siamo più alle soglie della contemporaneità, né siamo più totalmente immersi in essa, come fino a pochi, pochissimi, decenni fa. Adesso siamo nel «dopo» di ogni «post», giacché ciò che era post-moderno ieri, oggi è diventato ante-moderno, troppo desueto, eccessivamente lento per la nostra veloce scalata. Oggi, in quest’ora in cui scrivo, siamo nel post-contemporaneo; quindi, – fuori di ogni logica – siamo oltre ciò che è presente, che è «con il nostro tempo» (cum – tempore). Si può, dunque, sostenere, senza esser tacciati di pazzia, di essere al di là di quell’adesso che dovrebbe appartenerci e che, in un certo qual modo, dovrebbe dare senso alla nostra esistenza?
Credo che si possa sostenere.
Trovo quindi affatto semplice pensare che, dopo aver sfidato Dio, come Faust, al controllo supremo degli elementi della natura, dopo aver scommesso col diavolo per una bellezza longeva come il giovane Gray, e dopo aver superato l’estremo dilemma tra ciò che può vivere e ciò che non può – tanto che Frankenstein ha pur aperto gli occhi – l’uomo possa, nei bianco/grigi tempi moderni, andare a pranzo con la propria coscienza, ma non per dialogare con essa, come una volta ancora era di moda, né per condannarla al tribunale della passione amorosa o di qualche altro impulso pre-conscio o inconscio che vuole avere la meglio: no, oggi egli va a pranzo, si siede su di un’asettica sedia, con tavolo grigio fumo, squadrato come blocco di cemento, e nel piatto si vede servita una zuppa di grillo; già, del simbolo stesso della propria coscienza, che in anni passati era lì con quel fiato sul collo a farlo, non dico agire per il bene, ma quanto meno riflettere.
In questa minestra verdognola il grillo non canta il suo ‘cri’ melodioso, né tanto meno è in grado di esser parlante! Annaspa soltanto, almeno nei primi minuti, poi neanche quello. È morto stecchito, annientato, con fiamma bassa, per una cottura lenta e prolungata.
E per non farsi mancare nulla, l’uomo si delizia con scarafaggi in pastella, una prelibatezza culinaria del nuovo millennio! Se nel secolo passato la mostruosità dell’insetto era riuscita a penetrare lo strato di pelle dei soggetti coscienti, tanto che Gregor Samsa si risveglia trasformato nella parte peggiore di sé, oggi, nell’adesso in cui scrivo, gli umani stanno mangiando quella parte, o si apprestano a farlo, senza ritegno. Ebbè, mi sembra coerente! Prima diventano il loro totalmente altro, quindi l’insetto che tanto avevano schifato, dall’alba dei tempi; poi se lo inghiottono, per superare il momento del negativo.
Ora possono dirsi belli e soddisfatti di aver riassorbito, in un processo dialettico, l’insetto che era in loro, e che era stato l’eterno rimosso della loro storia!
Questo è uno scritto di critica, anzi son solo una manciata di righi! Critici! Ma critica a chi? Se la coscienza ce la stiamo fagocitando chi è l’oggetto della nostra critica?
Forse la pedanteria di una vocina che tartassa la nostra vita-tendente- al- piatto ci ha dato fastidio per un tempo assai lungo! Per «tendente- al- piatto» non intendo quello su cui ve la state mangiando, questa coscienza! Ma piatto cioè senza moto, senza il fremito del pensiero! Povero scarafaggio, avremmo potuto risparmiarcelo! Ma soprattutto povero grillo! La sua noiosa vocina faceva sempre tornare l’uomo in se stesso, lo faceva essere- in sé! Ora invece, senza coscienza, senza la noiosa vocina, a lui non resta altro che essere in-sé-tto!
Lucrezia Rosano
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