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LAMENTAZIONI DI UN PROFESSORE/2


Lamentazioni di un professore inidoneo a insegnare/2


Nella mia Sant’Elena le ore passano lente. Leggo molto, scrivo qualcosa, concludo la documentazione necessaria per il mio anno di prova come docente (!). Ogni tanto, raramente, ricevo qualche visita da parte di colleghi che mi mostrano la loro solidarietà e la loro empatia, apprezzate e preziose. Le altre conversazioni fortuite sono improntate all’imbarazzo (reciproco) e a una rapida cortesia che non si sviluppa. La gente tende a rimuovere cose ben più importanti e tragiche della mia vicenda minima.

Nel Paese il dibattito intellettuale sembra dominato da toni moralistici, mutuati dai regimi teocratici islamici. Il muftī di turno, sia egli un conduttore televisivo, un sacerdote in camice bianco, un politico rampante, un giornalista pieno di sé, lancia la fatwā su una questione proposta come nodale, centrale, fondamentale per la morale della società civile. Egli interpreta la sharī’a.

Seguono norme, codicilli e circolari che trasformano piano piano lo stato di diritto cui eravamo tutto sommato abituati, in uno stato etico-religioso dove, neanche a dirlo, la divinità è la scienza, infallibile, con la sua chiesa e i suoi ministri.

Anche noi abbiamo il nostro burqa. Non è di cotone, di lino o di seta raffinata. Noi lo usiamo in tessuto sintetico, monocromo o a fantasia, cinese o, in un impeto nazionalista, della FCA.

A differenza degli islamici, misogini e arretrati, da noi lo indossano anche i maschi e lo facciamo usare anche ai nostri bambini e alle nostre bambine. Il nostro burqa è un segno distintivo delle democrazie occidentali che hanno finalmente raggiunto la parità di genere.

Se tutto questo non fosse il frutto di una ipnosi collettiva, di una brutta stagione transitoria o persino di una congiuntura astrale negativa e diventasse invece la nuova realtà a cui dobbiamo abituarci per sempre beh… ci sarebbe davvero di che preoccuparsi.

Ma dalla mia finestra qui a Sant’Elena le nubi si diradano, il cielo invita all’ottimismo.

V. N. Le Rose


“Visti dall’alto/ i draghi del potere/ ti accorgi che/ son draghi di cartone”, E. Bennato

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